L'anno scorso, nel servizio sul phase-out dei motori endotermici, pubblicato in marzo (1), e nel successivo sulla normativa allo studio per limitare l'impatto dei nuovi veicoli stradali sulla qualità dell'aria, pubblicato in ottobre (2), si è detto delle proteste dei costruttori, non solo per l'uscita di scena, prevista dal 2035, ma anche per il rigore eccessivo dei requisiti da rispettare nel periodo transitorio per la commercializzazione nell'UE dei mezzi stradali di nuova produzione.
Standard proposti dalla Commissione Europea (CE) nel novembre del 2022 la cui evoluzione, nel mezzo secolo che abbiamo alle spalle, è stata riassunta nella cronaca della riduzione dei limiti sulle emissioni dei veicoli a motore riportata nel primo dei due articoli.
Negli interventi si è fatto cenno alle esigenze, incognite e incongruenze che caratterizzano la transizione verso una mobilità su ruote in Europa più sostenibile, che sono molteplici e da affrontare prima del fatidico 2035.
Riguardano, pertanto, il futuro immediato, da gestire per attuare la necessaria, ulteriore diminuzione del livello inquinante dei tradizionali veicoli a ciclo Otto e Diesel, particolarmente drastica nel caso del biossido di carbonio.
Una questione che ha costituito una forte ragione di contrasto tra il settore industriale e la CE, per la grande severità delle prestazioni da raggiungere nella riduzione della CO2, oggetto di uno specifico provvedimento (3), e delle altre emissioni, indicate nel nuovo standard omologativo che era in corso di definizione.
Un salto di classe da Euro 6 a 7 che prescriveva il conseguimento di valori estremamente impegnativi, se non improbabili, comunque molto onerosi, da imporre a partire dal luglio 2025, cioè tra poco più di un anno.
Ciò per le nuove auto e i veicoli commerciali leggeri e due anni dopo per quelli pesanti.
In materia è utile rammentare il percorso in salita che ha caratterizzato il passaggio dai vecchi veicoli ante '93, privi di sistemi di filtraggio dei gas di scarico, così detti Euro 0, all'attuale classe Euro 6.
Una storia di successo, partita in Italia più di 50 anni fa, nel 1970, con il regolamento attuativo del Capo VI "Veicoli a motore" della
legge antismog.
La famosa legge 615/66 "Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico", che i lettori più anziani certamente ricordano per la sua portata fortemente innovativa.
Norme rese via via più stringenti con il varo del programma europeo "Auto-Oil", nei primi mesi del 2000, per ridurre risolutivamente l'impatto ambientale dei veicoli.
Questo con direttive coordinate sulla qualità dei carburanti e sul miglioramento delle prestazioni dei propulsori, di cui la rivista ha dato ampia testimonianza, monitorandone nel tempo il recepimento e l'attuazione.
Un programma, supportato da misure che hanno introdotto disposizioni e target progressivamente più rigorosi, che ha raggiunto egregiamente gli obiettivi, classificando corrispondentemente le vetture con le successive classi "Euro".
Ciò in base a valori decrescenti dell'inquinamento consentito che hanno determinato una continua riduzione delle emissioni generate durante l'utilizzo dei mezzi di trasporto su strada: monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi incombusti, particolato.
Ad esse si sono aggiunti poi limiti decrescenti di altre emissioni e di quelle del biossido di carbonio, per l'impatto climalterante formalmente riconosciuto alla CO2 dal Protocollo di Kyoto nel 1997. Un effetto considerato nel tempo sempre più grave, al punto da aver indotto le istituzioni europee a prevedere, con il contestato, ma approvato, Regolamento 2023/851 del 19 aprile 2023, entrato in vigore il 15 maggio (3), la su richiamata messa al bando dei propulsori tradizionali dei veicoli leggeri entro il 2035.
Risultato di tutto ciò è stato l'efficientamento dei motori termici, il continuo perfezionamento dei sistemi di trattamento dei gas di scarico e la più recente ibridizzazione con quelli elettrici, che ha consentito ai veicoli di diventare sempre meno inquinanti, raggiungendo livelli prima impensabili.
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