Nell'articolo sulla corsa del nucleare in Cina, di cui si parla in questo numero, si è detto del gigantismo dell'impegno cinese, che riguarda peraltro lo sviluppo di tutta la sua economia, ivi compresa la formidabile spinta che il Paese di Mezzo sta imprimendo per accelerare la transizione energetica e raggiungere la neutralità climatica al 2060.
A tal fine puntando su ogni tecnologia disponibile. Cosa che la Cina può permettersi ampiamente, perché continua a crescere, anche se meno velocemente di prima e se concorre per ora al PIL mondiale solo per meno di 1/5, a fronte di oltre la metà dell'insieme di USA, UE e degli altri Paesi ad economia libera.
Ma è retta da un partito unico che garantisce un dirigismo che assicura la puntuale esecuzione dei suoi progressivi piani quinquennali, altrove assente o non così precisamente attuata e scandita.
In essi il Paese mostra di essere ben consapevole che la decarbonizzazione delle sue attività produttive deve soddisfare la necessità di continuare a disporre di combustibili e carburanti da generare, ovviamente, con tecnologie carbon free.
Specie per alimentare i comparti "hard to abate", tra cui l'industria chimica, siderurgica e i trasporti, pure se ciò significa affrontare i numerosi ostacoli che comportano i costi finanziari, la distribuzione, la sicurezza e altro dei vettori energetici alternativi a basse emissioni allo scopo richiesti.
In primis dell'idrogeno cosi detto "pulito", ottenuto a partire da energia rinnovabile (verde), nucleare (viola) e fossile con
sequestro delle emissioni (blu).
Questo con un enorme dispiegamento di forze sul primo, analogo a quello profuso per conseguire lo sfruttamento intensivo dell'energia solare con il rapido allestimento in vent'anni della sua poderosa industria del fotovoltaico.
Memore di tale esperienza la preoccupazione dell'Occidente è molto elevata, anche se al momento la corsa dell'idrogeno cinese si può dire sia appena partita, approssimativamente nel 2016, come la costituzione delle filiere ancora embrionali, peraltro anche a livello globale.
Segnatamente lo è per l'UE, per il rapido sviluppo in corso nel settore vitale degli elettrolizzatori, dove la Cina è già ben posizionata.
Li produce ed esporta, infatti, in misura crescente, a prezzi minori di 1/2, fino a 1/3 di quelli che praticano gli altri Paesi concorrenti. In tal modo è arrivata a costituire a fine 2023, in tempi brevi, il 60% della capacità globale annua di costruzione e assemblaggio di elettrolizzatori.
25 GW quelli annui a livello mondiale, a fine 2023, duplicati rispetto al 2022, con 3/4 del raddoppio verificatosi in Cina, stimati in più di 40 a fine anno, sempre per grande merito del Paese di Mezzo, che potranno diventare 165 al termine della decade.
Una cifra colossale, di cui le analisi dicono che se la moltiplicazione per quattro in sei anni non dovesse verificarsi, lo sarà molto probabilmente almeno per tre e che con gli attuali progetti di siti manifatturieri in corso più avanzato, potenziati o nuovi, sarà raggiunta comunque la gigantesca capacità realizzativa di 116 GW/a.
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